giovedì 29 ottobre 2015

Oliver Sacks

Oliver Sacks 

Fra i tanti meriti di Oliver Sacks c'è soprattutto quello di aver chiarito l'origine di alcune patologie, spostando l'attenzione dal campo psichiatrico di "contenimento" a quello neurologico di indagine e cura.
Riporto qui sotto parte di un brano dedicato al famoso neurologo, scritto da Pietro Barbetta per Doppiozero.

Veronika

"Maestri indiscussi di Oliver Sacks, per sua stessa ammissione, furono Alexander Romanovič Lurija (1902-1977) e Kurt Goldstein (1878-1965). Lurija fu tra i primi ad avere l'idea, ora in disuso, di fare il neurologo con competenze storico-culturali, che gli costò un'epurazione dall'Istituto dove lavorava da parte dei pavloviani. Di lui, tra le altre illuminanti indagini scientifiche, rimane il caso clinico del mnemonista, pubblicato nel 1968, ventiquattro anni dopo il racconto Funes el memorioso di Borges, a indicare di quanto la letteratura preceda la scienza. Goldstein fu il primo neurologo a mettere in discussione le semplificazioni pavloviane e a leggere la fenomenologia delle condotte umane patologiche come rivelatrici di un equilibrio sui generis, influenzando, tra l'altro, l'opera filosofica di Maurice Merleau-Ponty e quella medica di Georges Canguilhem.

Già nell'Uomo che scambiò sua moglie per un cappello, Sacks si occupa di una sindrome rara: la Gilles de la Tourette. Scrive, vado a memoria, di un uomo – Ray dei mille tic – che suona la batteria in un gruppo musicale, con eccellenti risultati, ma ha continui problemi lavorativi legati all'insistenza della sindrome, che produce coprolalie sporadiche di varia intensità e conseguenti licenziamenti. La diagnosi di sindrome di Tourette era da tempo caduta in disuso – il povero Tourette era morto in manicomio, ripudiato dalla famiglia – le persone con questa sindrome venivano erroneamente scambiate, sopratutto dagli psichiatri, come psicotiche. La nota farmacologia ex-adiuvantibus diceva che, poiché trattati con un noto neurolettico reagivano positivamente, e poiché lo stesso farmaco “funzionava” anche su pazienti con diagnosi di psicosi, allora si trattava di psicosi. Elementare, come spesso è l'ideologia psichiatrica.

Del resto la sindrome di Tourette è uno dei tanti Golem cui sta dietro il nome del medico che l'ha scoperta. George Albert Édouard Brutus Gilles de la Tourette (1857-1904) era alla Salpêtrière e lavorava con Jean-Martin Charcot (1825-1893), lo si ritrova nel noto quadro di Pierre Aristide André Brouillet (1857-1914) Una lezione clinica alla Salpêtrière. Per un lungo periodo fu ritenuta una forma isterica, quando molti disturbi neurologici, in Francia, venivano descritti sul piano della fenomenologia del comportamento, piuttosto che dal punto di vista strettamente neurologico. Poi, lentamente, la sindrome tese a scomparire dai quadri diagnostici, diventando un fenomeno raro, probabilmente coperta dalla falsa impressione, almeno nei casi più marcati, che fosse appunto un insieme di sintomi psicotici, tanto più dopo l'invenzione dei neurolettici. È noto il riduzionismo sanitario che sostiene l'esistenza di una cosa solo se ha un riscontro bio/farmacologico.

Sacks propone al suo paziente, Ray, di assumere il neurolettico in questione e Ray, da un certo punto di vista, migliora. Si comporta meglio, non perde più il lavoro, in famiglia tutto bene. Diventa un ottimo perbenista. Tuttavia non riesce più a suonare la batteria così bene, non è più così brillante, cambia identità. Penso, dati gli effetti di quel neurolettico, che alle otto di sera si addormentasse, e la batteria, come noto, si suona dopo le dieci. Questo, a volte, è l'effetto di un farmaco. Il medico gli chiede di scegliere, Ray rinuncia al farmaco per tornare come prima, senza alcuna obiezione, esitazione, preoccupazione del dottore. A volte ci vuole coraggio, e Sacks ne aveva.

A partire da quel momento, grazie anche al contributo di questo strano tipo neurologo e romanziere – che insegnò a distinguere clinicamente un tourettiano da una persona con un disordine psicotico – le diagnosi di Sindrome di Gilles de la Tourette aumentarono e il campo clinico di riferimento passò dalla psichiatria alla neurologia, evitando a molte di queste persone di subire quei trattamenti di contenimento ancora diffusi nel mondo delle ideologie psichiatriche.

Un contributo clinico forse ancora più importante di Sacks furono i suoi studi sull'autismo, supportati dal grande contributo di Temple Grandin. Fu lei a coniare il titolo del suo libro: Un antropologo su marte. Sull'autismo era calata una cappa di disperazione esistenziale alimentata da alcune interpretazioni mediche e psicologiche iatrogene, sia in campo psicodinamico, che in campo cognitivo-comportamentale. Su questa lunga vicenda storica, con Enrico Valtellina, abbiamo appena scritto un saggio che sta per venire pubblicato. Ebbene, Sacks fu tra i primi clinici ad affrontare l'autismo dal punto di vista di un soggetto autistico, piuttosto che di un paziente autistico. Di una persona, Temple Grandin, che insegna zootecnia in una università del Nord America.

Da lì in poi, la proliferazione di letteratura ad opera di persone autistiche, la diffusione mediatica di film, documentari, trattati scientifici e divulgativi, di ogni ordine e qualità, è stata enorme. Sopratutto nacque un movimento identitario definitosi Neurodiversity, fondato negli anni Novanta da Judith Singer. Un movimento che, appellandosi alla ricchezza e all'importanza della biodiversità, sosteneva che i neuro diversi – persone autistiche, ma non solo – hanno potenzialità e risorse diverse ma altrettanto valide delle persone “neuro tipiche”. Si giunse persino, sulla scorta dell'influenza di studiosi come Sacks, a formulare, da parte di questo movimento – in modo ironico e provocatorio – una classificazione diagnostica per la neuro tipicità: i neurotipici si guardano troppo a lungo negli occhi, ha una loquacità smisurata, fanno sempre tutto per un fine specifico."

mercoledì 21 ottobre 2015

Lettera di Sergio ai domiciliari per iniziativa antipischiatrica davanti al tribunale

Riceviamo e diffondiamo uno scritto di Sergio, prigioniero ai domiciliari a seguito di un'iniziativa antipischiatrica a Messina:



"In un mondo in cui lottare per la libertà è un crimine, l'innocenza è forse ciò che di peggio possa capitare ad un essere umano"
 
“La nostra esistenza è sotto il minimo che l'essere umano richiede. Impariamo il rischio del vivere e l'avventura del lottare: unica possibilità per non essere tombe viventi, pagine malscritte di una inutile storia”
(da un volantino comontista)

Credo sia giunto il momento di rompere il silenzio in cui sono rimasto, in attesa della fine del primo tempo di questa farsa giudiziaria. Dal 31 agosto sono agli arresti domiciliari per un'aggressione mai avvenuta ai danni di un vigile. Il 24 settembre il giudice ha così sentenziato: 10 mesi per me, senza benefici, e 6 mesi per Irene, pena sospesa.

Certo non sono in una cella, ho le comodità di una casa, non sento, tutte le sere, la chiusura della porta blindata e le gelide mandate di chiavi a monito della mia condizione. Ma il corpo subisce comunque le ristrettezze obbligatorie e l'amputazione del movimento.Tramite il controllo sui corpi il capitale aspira al dominio totale sulle vite degli individui, rendendoli sempre più automi e sempre meno autonomi. In questa prospettiva il carcere, la psichiatria, l'ideologia del lavoro, l'urbanistica, sono alcuni degli strumenti di cui esso si dota per realizzare il suo progetto di schiavitù.Si tracciano linee per indicarci dove e come vivere, come muoverci, cosa pensare, cosa dire. Bisogna chiedere sempre il permesso, uno spazio, un percorso, bisogna chiedere di avere in concessione una dignità. Viviamo in democrazia, si può parlare di tutto e pensare ciò che si vuole, purché tutto resti nell'ambito dello scambio d'opinione e del chiacchiericcio formale, ma quando le parole si sottraggono all'opinionismo e si trasformano in azione, quando i nostri desideri prendono forma, ma non sono i desideri che ci vengono concessi, quando il “sogno di mille cose” ci spinge ad agire, ecco che la repressione si abbatte, la catena viene tirata perché non dobbiamo varcare la soglia, il limite imposto. Per questo adesso subisco queste restrizioni, per aver tentato di varcare questa soglia.

Il 31 agosto eravamo davanti al tribunale, in presidio, per resistere, per opporci alla volontà repressiva di un consigliere comunale che chiedeva, a gran voce, l'intervento di polizia, psichiatria (T.S.O) e servizi sociali. Il suo intento era far sloggiare una donna accampata in un'aiuola, posta tra il tribunale e l'università, perché rovinava - a suo dire - il decoro di un luogo "prestigioso".I giornalisti pennivendoli locali, poi, hanno provveduto a far da eco agli anatemi.

Ma Il minimo per una persona senza casa è avere quantomeno una tenda sopra la testa.Certo, in una notte estiva puoi farne anche a meno e avere il piacere di dormire sotto un cielo stellato, ed ecco che il minimo può regalarti il massimo, se sai cogliere l'opportunità. Ma questa opportunità - un'aiuola e un cielo stellato- non puoi averla.Non è decoroso, non è civile.

C'è chi non sa guardare il cielo. “Vaglielo a spiegare che è estate, ma poi lo sanno ma preferiscono vederla togliere a chi va in galera”, o in un reparto psichiatrico, quei “decorosi” istituti dove l'uomo viene privato della dignità, l'umiliazione si chiama assistenza, gli abusi si chiamano cure e la segregazione ha il valore di riabilitazione fisica e morale.
Per tutta risposta, noi, che mal sopportiamo angherie e soprusi, abbiamo piazzato una tenda contro i T.S.O. e ogni autorità.Allora il consigliere e i giornalisti hanno gridato così forte da farsi sentire dalle solerti e "vigili" forze dell'ordine, che con la loro solita arroganza, tra minacce e intimidazioni, hanno tentato di sgomberare il presidio fino ad inventarsi un'aggressione pur di arrivare fino in fondo al loro intento repressivo.
La sentenza del tribunale è il sigillo posto su questo progetto di sopraffazione.Ad essere giudicata non è stata solo l'azione, ma tutto il nostro essere, lanciando un monito: ciò che fate, ciò che pensate, ciò che in sostanza siete, E' SBAGLIATO.Se qualcuno ancora pensa che da un'aula di tribunale possa uscire qualcosa di buono, una qualche giustizia, mi auguro si possa ricredere.

venerdì 16 ottobre 2015

Nuovi appuntamenti Ottobre

23 e 24 Ottobre altre due presentazioni del libro
"Elettroshock.La storia delle terapie elettroconvulsive e i racconti
 di chi le ha vissute.”
 a cura del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
 Edizioni Sensibili Alle Foglie.

 VENEZIA VENERDI’ 23 OTTOBRE
 c/o EX-Ospizio Contarini Occupato zona Santa Marta
 alle ore 21 Presentazione del libro

 PADOVA SABATO 24 OTTOBRE
 c/o MARZOLO OCCUPATA via Marzolo 4 quartiere Portello
 alle ore 18 Presentazione del libro


  per info:
 antipsichiatriapisa@inventati.org
 www.artaudpisa.noblogs.org 

sabato 10 ottobre 2015

Io sto con la pecora nera

Pubblichiamo uno scritto di Giuseppe Bucalo
“Ho partecipato qualche giorno fa a Bologna all’11° incontro di liberazione animale. Un’esperienza intensa ed emozionale di quelle che ti rappacificano con la specie umana.
Tante sono state le correlazioni e le scoperte reciproche che hanno sorpreso tanto me, quanto gli organizzatori dell’incontro, mostrandoci l’affinità e la contiguità fra le nostre lotte di liberazione.
Fra le tante somiglianze che ho trovato, mi ha colpito particolarmente sentire parlare,  nell’ambito della lotta contro la sperimentazione sugli animali, di un’antivivisezione “scientifica” e di una “etica”. Da quanto ho avuto modo di comprendere, la prima contesta essenzialmente con dati oggettivi e sperimentali l’efficacia e l’utilità della sperimentazione sugli animali come metodo di ricerca scientifica; la seconda rifiuta tout court ogni sperimentazione su/tortura/uso degli animali a scopi di studio indipendentemente dal fondamento scientifico o dell’utilità di tale pratica.
Qualcosa di molto simile succede nel campo della critica antipsichiatrica. Molte delle argomentazioni critiche portate avanti dal movimento antipsichiatrico al concetto di malattia mentale, di fatti, si muovono su un asse “scientista”. Si afferma in sostanza che “la malattia mentale non esiste” sulla base dell’evidenza che non esistono, ad oggi, prove di alcuna alterazione o base organica che determini i comportamenti, i modi essere e di pensare che la psichiatra diagnostica come “sintomi” di tale malattia. Ciò è certamente vero e, seppure a periodi riemerge una qualche teoria o “scoperta” del gene o delle cause biochimiche di quella o quell’altra “malattia mentale”, ad oggi gli studiosi più seri continuano a trattare la psichiatria come la cenerentola della moderna medicina scientifica.
Altri dicono chiaramente che, ove la psichiatria individuasse una o più cause organiche alla base di alcuni comportamenti indesiderabili e/o intollerabili, queste “malattie” finirebbero per uscire dall’ambito di sua competenza per passare a quella branca medica specialistica che è conosciuta come neurologia. Non sfuggirà che se l’ambito di azione della neurologia sono le “malattie del cervello”, gioco forza la psichiatria non si occupa di “malattie” che, nel senso classico, interessano quell’organo )o qualsiasi altro organo del corpo umano).
Ad essere “malato” in psichiatria non è il cervello ma la “mente”. Thomas Szasz molto argutamente sosteneva che parlare di “malattie mentali” come se indicassero dei fenomeni oggettivi o dei fatti concreti è come provare a tagliare il pane con delle “frasi taglienti”. Potremmo dire, come ho letto in un saggio sulla lobotomia in cui alcuni psichiatri definivano questa invasiva e distruttiva sperimentazione su esseri umani non consenzienti come un intervento chirurgico su tessuti cerebrali “apparentemente sani”, che la medicina psichiatrica agisca laddove non ci sia alcuna evidenza clinica di “malattia”.
L’evidenza che sembra interessare la psichiatria è essenzialmente quella del disturbo e del disordine personale, familiare e sociale che i suoi utenti rappresentano coi loro comportamenti e visione del mondo nell’ambito delle comunità sociali. Per questo la psichiatria e le sue pratiche assomigliano sempre più spesso alle pratiche carcerario-giudiziarie piuttosto che a quelle mediche. Per questo tutte le sue “pratiche” sono usate come strumenti di tortura nei paesi retti da regimi dittatoriali.
Negli anni, come tutti coloro che assumono e praticano l’idea che non ci sia alcuna malattia mentale, mi sono interrogato più volte sull’evenienza che la ricerca psichiatrica arrivi a descrivere i meccanismi cerebrali e biochimici che sottendono alle cosiddette “malattie mentali”. A differenza di altri io credo già, in maniera determinata, che ci siano certamente dei processi biochimici che permettono alle persone di vedere cose che altri non vedono e sentire cose che altri non sentono.
La questione dal mio punto di vista (che gli amici del movimento antispecista chiamerebbero “etico”) non è tanto confutare l’azione della psichiatria partendo dall’assunto, pur vero, della sua inconsistenza scientifica e dell’assenza del suo “oggetto”, ma quello di negare tout court qualsiasi azione coercitiva/curativa/repressiva che tolga senso e cerchi di controllare i pensieri, le emozioni e le scelte delle persone o che le releghi nel mondo del “patologico” piuttosto che in quello delle opportunità umane.
In altre parole si tratta di scegliere se vogliamo/possiamo fare a meno della nostra capacità di vedere attraverso, di sognare ad occhi aperti, di aprire le porte della percezione, di creare e continuare a stare laddove c’é il pericolo sapendo, con i poeti, che solo li nasce ciò che salva.

martedì 6 ottobre 2015

El Chivo

Chi ha a cuore il diritto all'autodeterminazione proprio di ciascun essere umano, sa che la strada maestra non è tanto rappresentarlo davanti ai poteri forti o, peggio ancora, come fa la psichiatria delle "buone pratiche", far passare tale diritto come una concessione benevola del tecnico illuminato che ne gestisce gli spazi di libertà.
Dovrebbe essere chiaro che dovremmo essere pronti, attrezzati e orientati piuttosto a sostenere materialmente chi autonomamente sceglie, in maniera più o meno condivisa dal suo contesto socio-familiare, di fare a meno della psichiatria e rivendicare il proprio diritto di scelta e la propria visione delle cose.
La "scelta" di Marcello è spesso una scelta obbligata per chi vuole rivendicare la propria autonomia di pensiero e il rifiuto di delegare altri nella gestione delle proprie relazioni e della propria vita. Negli anni abbiamo conosciuto decine di persone senza dimora che hanno "scelto" la strada pur di sfuggire al ricatto psichiatrico-familiare che attiva forme di sostegno sociale solo quale contropartita alla rinuncia da parte del soggetto della sua libertà di scelta e all'accettazione delle cure (e quindi della propria normalizzazione forzata).
La strada diventa scelta obbligata per chi rifiuta di "normalizzarsi" e non trova, nel contesto sociale, appoggi o risorse per poter vivere la propria vita a modo suo.
In questi lunghi anni di militanza antipsichiatrica mi sono convinto che le persone (in)seguite dalla psichiatria hanno bisogno certo di ascolto e di alleanza per far fronte al suo giudizio invalidante e alle sue pratiche repressive, ma soprattutto di risorse e opportunità per vivere da uomini e donne libere la loro vita senza sottostare a ricatti da parte dei propri "curatori" (sia che essi si presentino come "carcerieri" o come "liberatori").

Giuseppe Bucalo

domenica 4 ottobre 2015

In risposta al commento dell'altro giorno.

Il Camap nasce come strumento di divulgazione e informazione, dedicato alle persone che in qualche modo hanno subito o subiscono coercizione da parte della scienza psichiatrica.
Non usufruisce di contributi finanziari di nessun tipo da parte di chiunque. Non chiediamo nulla neppure per le nostre serate sull'antipsichiatria; al massimo gli organizzatori che ci ospitano decidono di conferire un rimborso spese per la benzina utilizzata per lo spostamento.
Chiunque può collaborare con noi ed è il benvenuto per qualsiasi contributo, consiglio o critica.
Chiariti questi punti, vorrei solo precisare che il nostro blog e tutte le attività collaterali da noi svolte (anche quelle che per svariati motivi non possono essere qui pubblicizzate) riguardanti psichiatria e antipsichiatria, non fanno parte in alcun modo di un contratto di lavoro. Il tutto si svolge in forma volontaria e spesso anonima, per rimarcare la nostra appartenenza a un collettivo e non per paura di "metterci la faccia". Tanto più che all'interno del collettivo c'è gente che letteralmente cammina sul filo del rasoio e rischia il posto di lavoro per le proprie lecite posizioni critiche.
Nel bell'incontro di ieri a Bergamo, a cui abbiamo avuto modo di partecipare, "anonimo" (non cito il tuo vero nome per rispetto della tua privacy, visto che non ti sei firmato neppure l'altro giorno) ha molto criticato il nostro modo di operare con chi vorrebbe avvicinarsi al Camap come volontario. E infatti di questo si tratta: di una persona che vorrebbe collaborare con noi e che non ha trovato la giusta serietà nel nostro modo di agire. Scusate l'ennesima precisazione, ma ci teniamo a rimarcare il fatto che noi rispondiamo SEMPRE alle richieste d'aiuto. Forse non saremo in grado di dare soluzioni (quanto ci piacerebbe!), ma una risposta tramite mail o cellulare quella sì che la forniamo. Non è molto, ma in molti casi fa la differenza.
Detto questo, faremo tesoro delle critiche che ci sono state mosse, un pò meno delle possibili soluzioni e degli insulti che abbiamo ricevuto. Sono anni che operiamo in questo modo e le persone che partecipano al nostro collettivo hanno carta bianca per fare ciò che vogliono, proprio perchè al contrario della psichiatria, noi ci fidiamo delle persone. Tanto più di chi collabora attivamente con noi e che ha molte più "palle" di chi lo critica (uso lo stesso termine che potete trovare nel commento).
In conclusione, come collettivo non abbiamo la minima intenzione di cambiare il nostro modo di operare o mettere in discussione le persone che fanno parte attivamente della nostra realtà. Se il nostro modus operandi non è di gradimento a qualcuno, fortunatamente esistono tante altre realtà antipsichiatriche, altre porte a cui bussare insomma.
Mi sembrava giusto rispondere, visto che è quello che facciamo sempre e comunque con tutti, ovviamente non alle offese.
Con queste righe spero di aver chiarito eventuali dubbi, soprattutto a chi da anni segue la nostra attività e si fida di noi.

E poi: non si può sempre piacere a tutti, no?
Ce ne faremo una ragione...

A nome del Camap,
Gabriele Crimella.

Giustizia: salgono a 109 gli internati Opg che hanno ricorso per "detenzione illegittima"

di Teresa Valiani

globalist.it, 29 settembre 2015

L'associazione "L'altro diritto" ha già raccolto 109 istanze dai pazienti di tre delle cinque strutture ancora aperte. "Violata la costituzione".
Raggiunge quota 109 il piccolo esercito di internati che dagli Ospedali Psichiatrici Giudiziari sta dichiarando guerra allo Stato. L'ultima ondata di ricorsi arriva dall'Opg di Reggio Emilia: 24 istanze per detenzione illegittima, cioè sequestro di persona. "Pressoché la totalità dell'istituto - commenta Emilio Santoro, presidente dell'associazione L'Altro Diritto - se si considera che i pazienti in totale sono 27 e che il giorno del nostro ingresso un internato era in ospedale e solo due persone non hanno voluto sottoscrivere le istanze".
Impegnata in una battaglia "contro la detenzione illegale dei pazienti ancora reclusi negli Opg", negli ultimi tre mesi L'Altro Diritto ha raccolto 58 ricorsi dall'Opg di Montelupo Fiorentino, 27 da quello di Barcellona Pozzo di Gotto e 24 a Reggio Emilia. Con tre sole strutture sulle cinque ancora aperte (Mancano Aversa e Napoli) è stata cioè raggiunta quasi la metà del totale degli attuali 226 internati.
"Dall'1 aprile 2015 gli internati non devono essere più ristretti negli Opg bensì nelle Rems, le Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza - prosegue Santoro. Il cambio non è nominalistico: le Rems sono strutture senza polizia penitenziaria, senza un direttore appartenente all'amministrazione penitenziaria, insomma non sono carceri travestiti da ospedali, ma ospedali in senso proprio. La violazione dell'art. 13 della Costituzione è evidente e preoccupante". L'Altro Diritto ha investito della questione la magistratura di sorveglianza aiutando gli internati a redigere le istanze con le quali si denuncia l'illegittimità della detenzione.
"Per il nostro ufficio si tratta dei primi reclami - spiega il presidente del tribunale di sorveglianza di Bologna e Reggio Emilia, Francesco Maisto. Quello di Reggio Emilia è l'Opg più piccolo d'Italia nel senso che ospita il numero di internati minore rispetto alle altre strutture del territorio nazionale. La percentuale delle istanze è notevole, se si considera il totale della popolazione. Come capo dell'ufficio provvederò ad assegnare subito i casi ai magistrati competenti in modo che la loro trattazione avvenga nel più breve tempo possibile. È un'iniziativa lodevole quella dell'associazione L'Altro Diritto, sempre sensibile alla questione del trattamento delle persone recluse a qualsiasi titolo e attenta, soprattutto, alla tutela del diritto alla salute".

Che succede quando queste istanze arrivano sui vostri tavoli?
"Succede che il magistrato al quale viene assegnato il caso instaura un vero e proprio procedimento: da una parte c'è l'interessato, coadiuvato dal suo tutore e dal suo difensore, dall'altra c'è lo Stato, c'è l'amministrazione penitenziaria, che viene rappresentata dall'avvocatura dello Stato. Il procedimento inizia con una citazione in giudizio, si fissa l'udienza e, nel corso di questa, si sente l'interessato, si ascoltano le sue ragioni e il parere del pubblico ministero. Segue un'ordinanza che a seconda della situazione accoglie il reclamo o lo rigetta. Nel caso in cui l'istanza sia accolta, il giudice dispone che l'amministrazione penitenziaria abbia una certa condotta. Nei giudizi di questo tipo, se la parte che è inottemperante è una regione che non ha realizzato la Rems, il magistrato cita in giudizio anche la regione. Come esito del giudizio, il magistrato può condannare la regione a ospitare l'internato in una Rems. E se la Rems non c'è, la regione la deve realizzare. Per l'eventuale sequestro di persona, invece, procede la procura della Repubblica del tribunale competente per territorio".

Perché ci sono ancora internati negli Opg? Da dove arrivano i ritardi?
"C'è un ritardo non solo da parte delle regioni, per le Rems, ma anche a livello di amministrazione centrale, nel senso che la legge 81 ha indicato dei termini che sono stati abbondantemente superati. Non è solo una questione organizzativa, ma di tutela del diritto alla salute perché le Rems non sono la semplice alternativa all'Opg, ma realtà completamente diverse. Dalla legge vengono qualificate come strutture sanitarie. E non sono comunque la sola alternativa. L'obiettivo è sempre il programma terapeutico individualizzato e, dove possibile, il ricovero in vista di una sistemazione futura: in una famiglia, in una comunità protetta e così via".

Lei coordina il tavolo 10 degli Stati generali dell'esecuzione penale, proprio quello che si occupa di sanità e salute mentale. A quali conclusioni state arrivando?
"Abbiamo superato il primo step con la raccolta da parte di tutti gli esperti delle segnalazioni sulle criticità del sistema penitenziario. Ci ritroveremo il primo ottobre per fare la sintesi e indicare le prospettive di carattere organizzativo e normativo. È emerso un quadro molto deludente perché le aspettative che si erano create legittimamente con il passaggio al servizio sanitario nazionale risultano realizzate molto parzialmente. C'è poco movimento in avanti per assicurare maggiore tutela del diritto alla salute. Le maggiori criticità arrivano da quelle regioni in cui il passaggio non è stato mai realizzato, dalle regioni in cui non c'è alcuna parvenza di tele medicina, soprattutto dove gli istituti sono molto lontani dai centri ospedalieri".
fonte: www.ristretti.org