domenica 23 agosto 2015

5 e 6 Settembre

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Il 5 e 6 settembre, presso il c.s.c. Nuvola Rossa di Villa San Giovanni (RC), si svolgerà una due giorni di formazione e informazione sui temi dell'antipsichiatria e della psicoanalisi: "CERTE VOLTE PARE CHE IL MONDO GIRI ALLA ROVESCIA, confronto e costruzione di pratiche alternative alla psichiatria".
Da sempre la psichiatria è uno dei principali strumenti che il discorso dominante usa per ostacolare l'autodeterminazione dei soggetti e per mettere a tacere qualsiasi forma di critica sociale; la sua funzione di esclusione e controllo continua a rafforzarsi attraverso l'invenzione artificiosa di sempre "nuove malattie mentali": comportamenti devianti da una presunta norma e perciò da uniformare. Noi pensiamo, invece, che le cause profonde di taluni "disagi" siano da ricercare nella società in cui viviamo e nello stile di vita che ci è imposto.
La logica psichiatrica sminuisce, semplifica e banalizza le sofferenze e le "diversità", medicalizzando eventi ed esperienze di vita e rispondendo ai bisogni degli individui quasi esclusivamente attraverso cure farmacologiche. Gli psicofarmaci, però, non soltanto agiscono unicamente sui sintomi e non sulle cause dei presunti "disagi", ma soprattutto finiscono per garantire il perdurare di condizioni sociali di sfruttamento. Non siamo aprioristicamente contro l'uso di psicofarmaci, ma riteniamo che nessuno debba essere obbligato ad assumerli contro la propria volontà.
Il nostro obiettivo è quello di promuovere la "salute mentale" ponendo l'accento sulle persone, costruendo legami sociali; vorremmo costruire una rete di supporto sociale per i soggetti colpiti dal sapere/potere psichiatrico e produrre pratiche di auto-aiuto fondate sull'autodeterminazione e su un sistema di relazioni orizzontali, portare le risorse dalle istituzioni al territorio, spostare l'attenzione dalla "malattia" agli individui; riappropriarci della "follia" per sperimentare nuovi modi di viverla.
Per questa ragione, abbiamo deciso di incontrarci e incontrare altri soggetti e realtà impegnate in questa lotta e chiunque abbia voglia di confrontarsi sui temi delle pratiche non o anti psichiatriche.
SABATO 5 SETTEMBRE
ore 17:00 Pratiche di desiderio e di libertà, esperienze alternative alle istituzioni totali: sportello di ascolto antipsichiatrico – Collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud – Pisa
ore 19:00 Presentazione del libro "ELETTROSHOCK. La storia delle terapie elettroconvulsive e i racconti di chi le ha vissute." a cura del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud, ed. Sensibili alle Foglie. Ne discute con gli autori Pino Pitasi ed un* compagn* del Nuvola Rossa
a seguire Documentario video "CORTOSHOCK" di Daniele Filippetto e Andrea Maiorana
ore 21:30 Cena sociale
ore 22:30 live: Zasta N.C.F., UVÌ!

mercoledì 19 agosto 2015

Giorgio Antonucci: «La 'psichiatrizzazione' è contro la libertà»


Il caso dei nosocomi di frontiera usati nel dopoguerra per il confino per emigranti “fastidiosi”. Parla l'autore del volume “Diario dal manicomio”



Emigrazione, sofferenza psichica e pratiche totalizzanti: emerge il caso che - tra gli anni '40 e '60 - delinea un instradamento anomalo al trattamento sanitario obbligatorio a danno di emigranti italiani, rei di presunte “turbe psichiche” manifestate in territorio straniero. Interviene in proposito il professor Giorgio Antonucci, scrittore ed attivista per i diritti umani, tra i maggiori esponenti del movimento dell'antipsichiatria fondato dall'americano Thomas Szasz: «la dottrina attesta da tempo che lo straniero è per sua natura in condizione di svantaggio, quindi esposto in quanto tale a riscontri di “anormalità” psichiatrica secondo giudizi arbitrari; è così che i “diversi”, gli emarginati, le vittime di guerra, all'occorrenza finiscono per essere riconosciuti tutti come “pazzi”».

Il caso in questione deriva da un ritrovamento inquietante. Le cartelle cliniche dell'ospedale psichiatrico “San Martino” di Como evidenziano che per oltre vent'anni - dal '46 al '69 - nel nosocomio sono arrivati oltre 250 “pazienti”, quasi tutti maschi provenienti dall'estero. Come mai così tanti? Come mai qui alla frontiera e non nei luoghi di d'origine?
Il ricercatore Gavino Puggioni, esperto di storia orale e scrittura popolare, è l'artefice del ritrovamento. Con lui si torna al contesto di miseria del periodo, quando era necessario andare a cercare fortuna fuori e il governo scambiava in qualche modo forza lavoro contro materie prime, braccia in cambio di carbone; e se qualcuno creava problemi di sorta era conveniente risolvere il problema alla radice. Ecco che si prospetta una scandalosa “migrazione di ritorno”, una reclusione mascherata da follia.
Una vicenda dolente,che oggi torna a galla ripresa da un'emittente radiofonica romana all'interno del ciclo “Più scheletri che armadi per nasconderli”. Occasione in cui è appunto ospite il medico e psicanalista, già collaboratore di Basaglia: «Al di là del singolo caso, dobbiamo interrogarsi sull'essenza stessa della psichiatria, che può invalidare il pensiero dell'altro con un atto autoritario che non ammette difesa o d'uscita: quando qualcuno è dichiarato 'pazzo' qualsiasi cosa dica o faccia è comunque sbagliata».
Dunque il manicomio come meccanismo di velata esclusione, segregazione, distacco, alienazione di quello che di volta in volta è considerato un elemento “di disturbo” della società; dove non conta “giusto” o “sbagliato” ma solo il giudizio di “correttezza” espresso dal funzionario.
Conclude Antonucci: «L'errore di fondo è “psichiatrizzare” sempre più le manifestazioni umane: trasformare un errore o un reato in malattia mentale significa trasformare un soggetto responsabile delle proprie scelte in un oggetto passivo, macchinetta da aggiustare secondo le esigenze sociali. Il paziente dovrebbe scegliere circa la propria salute. Invece nelle malattie mentali inventate il medico da consulente diventa tutore, decidendone il destino al suo posto. Una situazione che fa temere per la libertà».
Ora interverranno le autorità competenti. Ma eliminare le persone attraverso la psichiatria rimane di moda, se è vero che si inventano sempre nuovi disturbi (l'obesità, il gioco d'azzardo...) in base a fini ed interessi eterodiretti. E i 'malati di mente'? Forse scompariranno solo quando la società smetterà di escluderli. (Edizioni Spirali, marketing@spirali.com)

domenica 16 agosto 2015

Nè sgombero del Barocchio Nè REMS

 Apprendiamo la notizia che al posto del Barocchio, squat occupato da ormai 23 anni, dovrebbe sorgere una REMS (Residenze per l’Esecuzione Misure Sicurezza). la Legge n°81/2014 prevede la chiusura degli OPG entro il 31 marzo 2015 e l'entrata in funzione delle REMS. Ad oggi gli OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari) esistono ancora e le REMS in molte regioni non sono ancora entrate in funzione.
Le REMS in realtà non sono altro che dei dei MINI-OPG sul territorio, la suddetta legge infatti,  mantenendo inalterato il concetto di pericolosità sociale, mantiene inalterato il regime di custodia e cura vigente negli Opg.
Chiudere i manicomi criminali senza cambiare il codice penale che li sostiene vuol dire creare nuove strutture, forse più accoglienti,  ma all’interno delle quali finirebbero sempre rinchiuse persone giudicate incapaci d’ intendere e volere. Per abolire realmente gli OPG bisogna non riproporre i criteri e i modelli di custodia e occorre metter mano a una riforma degli articoli del codice penale e di procedura penale che si riferiscono ai concetti di pericolosità sociale del “folle reo, di incapacità e di non imputabilità”, che determinano il percorso di invio agli Opg.
Il problema è superare il modello di internamento, e tale superamento non può passare attraverso gli stessi meccanismi precedentemente in atto nei manicomi. Altrimenti la logica dominante, anche nelle rems, sarà sempre quella dell’esclusione e non dell’inclusione.
Esprimiamo dunque la nostra solidarietà al Barocchio squat; contrari  allo sgombero di un'esperienza abitativa e sociale in piedi da 23 anni, affinché non venga trasformata nell'ennesimo contenitore dell'esclusione sociale!


Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud-⁠Pisa
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Spesso l'estate è una stagione di idee balzane per i signori delle Istituzioni: come i governi approfittano del solleone per varare misure antipopolari e riforme di lacrime e sangue, su scala locale (Comune, Provincia, Regione) si approfitta del momento in cui la città è semi-vuota per far passare decisioni e provvedimenti gravidi di fastidiose conseguenze. È il caso dell'infausta decisione di destinare l'area adiacente alla  Barocchio - casa occupata da 23 anni!  - ad ospitare uno dei due Rems (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza) previsti in Piemonte. Nel piano non si parla (per ora) di sgombero della casa occupata ma già la scelta di aprirvi, a pochi metri, quella che è di fatto un'istituzione manicomiale, fa pensare male.
Due giorni fa, una persona è stata uccisa nella nostra città per imporgli un Tso (Trattamento Sanitario Obbligatorio) contro la sua volontà. Basta questo per opporsi a questa scelta liberticida e porci al fianco della casa occupata Barocchio. Come compagni e compagne dell'area autonoma torinese, esprimiamo la nostra solidarietà agli occupanti e alle occupanti del Barocchio e ci mobiliteremo nelle iniziative che verranno costruite per opporsi a un ennesimo scempio di cui nessuno ha bisogno in questa città.
Network Antagonista Torinese (askatasuna, murazzi, cua, ksa)
Fonte: www.infoaut.org
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Intervento di Mario Frisetti al palazzo della Regione, giovedì 6 agosto 2015. Da parte del Barocchio squat occupato e autogestito da 23 anni.


Noi siamo incompatibili. Noi siamo i devianti. I deviati sono i vostri prigionieri psichiatrici. Queste le categorie usate dal basagliano dott. Tavolaccini nella relazione che chiedeva il nostro sgombero nel 1991. Deviati e devianti non possono coesistere perché si ecciterebbero a vicenda.
Noi siamo contro ogni forma di detenzione. Contro ogni galera. Contro la psichiatria.
I nuovi REMS (della legge 81/2014) sono peggio degli OPG.
Combatteremo l’installazione del REMS. Non lasceremo che ce ne costruiscano uno in casa.
E con noi le case occupate e i centri sociali.
Porteremo il conflitto dalla periferia, dove volete relegare gli psichiatrici, al centro, nel cuore della città, cominciando da oggi.
Non possiamo convivere con una prigione psichiatrica con mura alte 4 metri e polizia privata che sostituisce quella di Stato.
Sulla nostra falegnameria è scritto in piemontese “Ognidun a le mat a la sua manera”.
Il nostro simbolo è una tenaglia che taglia le catene.
Abbiamo convissuto per più di 20 anni con gli psichiatrizzati che però erano liberi di andare e venire.
Noi siamo con il Folle Reo. E non lasceremo che lo Stato gli costruisca la prigione per occultarlo alla comunità.
Noi non possiamo vivere senza i matti.
Noi stessi siamo matti.
Loro i deviati, noi i devianti.
Non lasceremo che gli costruiscano la prigione, si chiami OPG o REMS.
Ieri l’ultima vittima del TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio), l’hanno portata al Maria Vittoria fuori conoscenza e con arresto respiratorio.
Si chiamava Andrea Soldi. 45 anni “Non voleva salire in ambulanza e si rifiutava di prendere i farmaci”. I suoi problemi erano iniziati in caserma, durante il servizio militare.
L’hanno strangolato i vigili del reparto progetti e servizi mirati inviati dallo psichiatra che aveva chiesto il TSO, su una panchina di corso Umbria, in mezzo alla gente, certi dell’impunità. “L’hanno accerchiato in 4, l’hanno preso per il collo, è diventato scuro, la lingua usciva dalla bocca e si è accasciato”.

Mario Frisetti, Torino 6 agosto 2015

martedì 11 agosto 2015

BASTA MORTI IN TSO!

Tre persone morte in TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) in poco più di un mese.

Il 5 agosto scorso a Torino, un uomo di 45 anni, Andrea Soldi, è morto mentre i vigili urbani lo stavano sottoponendo a TSO. Si parla di arresto cardiocircolatorio, non è riuscito ad arrivare vivo in ospedale. Testimoni parlano di vigili che l’hanno preso e stretto per il collo, finché non è caduto a terra privo di vita.

Il 30 luglio 2015 a Carmignano Sant'Urbano, in provincia di Padova, un ragazzo di trentatré anni, Mauro Guerra, è stato ucciso da un carabiniere durante un TSO. Nessuno sembra conoscere le reali cause che stanno dietro al trattamento sanitario obbligatorio che l'ha ucciso, né la famiglia, né il sindaco, il quale afferma di non aver neanche autorizzato il provvedimento (nonostante la legge 180 prescriva la disposizione del trattamento previa autorizzazione del sindaco, in quanto massima autorità per la sanità locale). All'arrivo di alcuni carabinieri presso la propria abitazione, Mauro, colto di sorpresa e in preda allo spavento, ha tentato la fuga.
Uno dei carabinieri ha sparato e l'ha ucciso.
Il maresciallo dell'arma si è giustificato dicendo di aver mirato al braccio ma Mauro è stato colpito alla schiena a soli due metri e mezzo di distanza.

Chi ha autorizzato il TSO? Perché sono intervenuti i carabinieri e non i sanitari del 118?

L'8 giugno è morto in circostanze da chiarire, durante un Trattamento sanitario obbligatorio, un uomo di 39 anni. I familiari hanno molti dubbi sulle cause del decesso e lamentano che durante i 12 giorni di ricovero non gli sia mai stato concesso di vederlo. Si chiamava Massimiliano Malzone, il 28 maggio era stato ricoverato nel Servizio psichiatrico di diagnosi e cura dell’ospedale Sant’Arsenio di Polla, in provincia di Salerno. La storia di Massimiliano richiama alla memoria quella di Francesco Mastrogiovanni, il maestro di Castelnuovo Cilento deceduto nel Servizio psichiatrico di diagnosi e cura di Vallo della Lucania il 4 agosto 2009. Due storie diverse, ma con tratti comuni. Comune anche lo psichiatra coinvolto; il medico che avvisa la sorella della morte di Massimiliano, infatti, è lo stesso già condannato a 4 anni in primo grado per il decesso di Mastrogiovanni con l’accusa di sequestro di persona, morte come conseguenza di altro reato (il sequestro stesso) e falso ideologico, per non aver annotato la contenzione meccanica nella cartella clinica. Francesco Mastrogiovanni era stato legato mani e piedi al letto dell’ospedale, per oltre 80 ore.  Il 26 e il 30 giugno si sono svolte le ultime udienze del processo d’appello per il caso Mastrogiovanni, la sentenza è prevista per il mese di settembre 2015.

Il regime terapeutico imposto dal TSO ha una durata di 7 giorni e può essere effettuato solo all'interno di reparti psichiatrici di ospedali pubblici. Deve essere disposto con provvedimento del Sindaco del Comune di residenza su proposta motivata da un medico e convalidata da uno psichiatra operante nella struttura sanitaria pubblica. Dopo aver firmato la richiesta di TSO, il Sindaco deve inviare il provvedimento e le certificazioni mediche al Giudice Tutelare operante sul territorio, il quale deve notificare il provvedimento e decidere se convalidarlo o meno entro 48 ore. Lo stesso procedimento deve essere seguito nel caso in cui il TSO sia rinnovato oltre i 7 giorni. La legge stabilisce che il ricovero coatto può essere eseguito solo se sussistono contemporaneamente tre condizioni: l'individuo presenta alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, l'individuo rifiuta la terapia psichiatrica, l'individuo non può essere assistito in altro modo rispetto al ricovero ospedaliero.




Subito ci troviamo di fronte ad un problema: chi determina lo “stato di necessità” e l'urgenza dell'intervento terapeutico? E in che modo si dimostra che il ricovero ospedaliero è l'unica soluzione possibile? Risulta evidente che le condizioni di attuazione di un TSO rimandano, di fatto, al giudizio esclusivo ed arbitrario di uno psichiatra, giudizio al quale il Sindaco, che dovrebbe insieme al Giudice Tutelare agire da garante del paziente, di norma non si oppone.
Per la persona coinvolta l'unica possibilità di sottrarsi al TSO sta nell'accettazione della terapia al fine di far decadere una delle tre condizioni, ma è frequente che il provvedimento sia mantenuto anche se il paziente non rifiuta la terapia. Se, in teoria, la legge prevede il ricovero coatto solo in casi limitati e dietro il rispetto rigoroso di alcune condizioni, la realtà testimoniata da chi la psichiatria la subisce è ben diversa. Con grande facilità le procedure giuridiche e mediche vengono aggirate: nella maggior parte dei casi i ricoveri coatti sono eseguiti senza rispettare le norme che li regolano e seguono il loro corso semplicemente per il fatto che quasi nessuno è a conoscenza delle normative e dei diritti del ricoverato.
Molto spesso prima arriva l' ambulanza per portare le persone in reparto psichiatrico e poi viene fatto partire il provvedimento. La funzione dell'ASO (Accertamento Sanitario Obbligatorio) è generalmente quella di portare la persona in reparto, dove sarà poi trattenuta in regime di TSV o TSO secondo la propria accondiscendenza agli psichiatri.
Il paziente talvolta non viene informato di poter lasciare il reparto dopo lo scadere dei sette giorni ed è trattenuto inconsapevolmente in regime di TSV (Trattamento Sanitario Volontario); oppure può accadere che persone che si recano in reparto in regime di TSV sono poi trattenute in TSO al momento in cui richiedono di andarsene. Diffusa è la pratica di far passare, tramite pressioni e ricatti, quelli che sarebbero ricoveri obbligati per ricoveri volontari: si spinge cioè l’individuo a ricoverarsi volontariamente minacciandolo di intervenire altrimenti con un TSO.
A volte vengono negate le visite all’interno del reparto e viene impedito di comunicare con l'esterno a chi è ricoverato nonostante la legge 180 preveda che chi è sottoposto a TSO "ha diritto di comunicare con chi ritenga opportuno".


Il TSO è usato, presso i CIM o i Centri Diurni, anche come strumento di ricatto quando la persona chiede di interrompere il trattamento o sospendere/scalare la terapia; infatti oggi l' obbligo di cura non si limita più alla reclusione in una struttura, ma si trasforma nell'impossibilità effettiva di modificare o sospendere il trattamento psichiatrico per la costante minaccia di ricorso al ricovero coatto cui ci si avvale alla stregua di strumento di oppressione e punizione. Per questo ancora una volta diciamo NO ai TSO, perché i trattamenti sanitari non possono e non devono essere coercitivi e affinché nessuno più debba morire sotto le mani di forze dell'ordine al servizio degli psichiatri.

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud-Pisa

antipsichiatriapisa@inventati.org
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mercoledì 5 agosto 2015

Lettera ai direttori dei manicomi di Antonin Artaud (1925) - Commento a cura del Collettivo Artaud di Pisa

Il TESTO

Signori, le leggi e il costume vi conferiscono il diritto di misurare lo spirito, questa sovrana giurisdizione, di per sé spaventevole, la esercitate a vostro criterio: lasciateci ridere. La credulità dei popoli civilizzati, dei sapienti e dei governanti, adorna la psichiatria con indefinibili aureole sovrannaturali, ed i procedimenti della vostra professione vengono accettati a priori. Inutile discutere in questa sede il valore della vostra scienza e la dubbia esistenza delle malattie mentali, tuttavia chiediamo: su cento pretesi casi patologici che scatenano la confusione della materia e dello spirito, su cento classificazioni di cui le più vaghe restano le uniche utilizzabili, quanti i nobili tentativi di penetrare nel mondo cerebrale dei vostri prigionieri? E chi tra voi, per esempio, considera il sogno del demente precoce, con le relative immagini di cui è preda, qualcosa di diverso da un’insalata di parole? Non siamo stupiti di riscontrare la vostra inferiorità di fronte a un compito esclusivamente riservato a pochissimi predestinati, ma ci schieriamo contro la concessione del diritto di compiere ricerche nel regno dello spirito a uomini che, limitati o no, trovano conferma ai loro risultati per mezzo di condanne al carcere a vita. E che carcere! Si sa: i manicomi, lungi dall’essere “case di cura”, sono orribili galere nelle quali i detenuti forniscono una comoda e gratuita manodopera e i servizi sono una regola, e tutto ciò viene da voi tollerato. A dispetto della scienza e della giustizia, il manicomio è simile alla caserma, alla prigione, all’ergastolo. Per non infliggervi la pena delle facili smentite evitiamo di porvi in questa occasione il problema degli internamenti arbitrari, non esitiamo però ad affermare che la maggior parte dei vostri pensionanti, del tutto pazzi in base alle diagnosi ufficiali, sono anch’essi arbitrariamente internati. Non ci è possibile ammettere che si ostacoli il libero sviluppo di un delirio logico e legittimo al pari di ogni altra successione di idee e di azioni umane. La repressione degli impulsi antisociali è per principio chimerica e inaccettabile: tutti gli atti individuali sono antisociali. I pazzi sono le principali vittime della dittatura sociale; in nome dell’individualità tipica dell’uomo, pretendiamo la liberazione di questi forzati della sensibilità, poiché le leggi non hanno il potere di rinchiudere tutti gli uomini che pensano e agiscono. Sarebbe troppo facile precisare il carattere compiutamente geniale delle manifestazioni di certi pazzi, rivendichiamo semplicemente l’assoluta legittimità della loro concezione della realtà e tutte le conseguenze che ne derivano. Domattina all’ora della visita, quando senza alcun lessico tenterete di comunicare con questi uomini, possiate voi ricordare e riconoscere che nei loro confronti avete una sola superiorità: la forza.


L'AUTORE

Antonin Artaud ((Marsiglia, 4 settembre 1896 – Ivry-sur-Seine, 4 marzo 1948)
è stato uno scrittore, poeta, disegnatore, regista e attore francese. Figlio di un medico, che sperimenta su di lui una macchina che produce elettricità statica per curarlo da una meningite che gli era stata diagnosticata all’età di 5 anni; a 18 anni gli viene diagnosticata la sifilide ereditaria ed è seguito da vari medici che gli prescrivono l’assunzione di sostanze che peggiorano però i dolori e il suo stato di salute. Utilizza arsenico, laudano, cianuro di mercurio, ectina e svariate altre sostanze, ma allo stesso tempo scrive e dipinge, riuscendo  a lavorare nel teatro e nel cinema.

Dal 1924 si ritira a vita privata e si dedica alla scrittura. Aderisce e poi rompe con i surrealisti. Artaud è sempre più un rivoluzionario cosmico, immerso nella sua vita di sofferenza da alla luce il “Teatro della Crudeltà” nel quale il pubblico non è più spettatore passivo ma bensì officiante della messa in scena teatrale. Un coinvolgimento catartico che ricompone ed espande il sé dell’ex-spettatore. Artaud riteneva che il testo avesse finito con l'esercitare una tirannia sullo spettacolo, ed in sua vece spingeva per un teatro integrale, che comprendesse e mettesse sullo stesso piano tutte le forme di linguaggio, fondendo gesto, movimento, luce e parola.

Questo nuovo teatro presentato da Artaud non è compreso dai suoi contemporanei e l’impresa teatrale fallisce. Incompreso e con le finanze in rovina decise di investire i suoi ultimi soldi in un viaggio per il Messico  - dopo aver scritto “Mexique et la folie”.
In Messico, alla ricerca di una <<cultura organica>> , si spinge fino alla Sierra Tarahumara e con gli Sciamani dei villaggi sperimenta i riti di iniziazione con il Peyote. Ad un certo punto di questo viaggio però, deluso per non aver trovato alcuna cultura non contaminata dall’occidente e sentitosi preso in giro dai locali, decide di rientrare in Irlanda e riportare agli irlandese il bastone di San Patrizio che un amico gli aveva donato dicendogli che era stato in passato posseduto anche da Gesù Cristo.

Questa sua missione viene interrotta bruscamente da una detenzione nella stiva della nave con cui stava tornando in Europa, in seguito ad un litigio con un marinaio che secondò Artaud gli aveva rubato il bastone Sacro. Non appena la nave attracca a Dublino in Irlanda viene deportato in manicomio. E’ l’anno 1936.

L’internamento di Artaud va dal 1936 al 1945, gli anni della guerra  durante in i quali patisce  la fame e il freddo. Anni di detenzione arbitraria che si concludono con  l'internamento nel manicomio di Rodéz in Francia.
E’ qui che gli sono stati fatti 51 elettroshock.
L’arrivo a Rodéz è possibile grazie al dr. Ferdière suo ammiratore dai tempi della sua adesione al surrealismo. Quando le sue condizioni fisiche migliorano, nutrendosi regolarmente, lo psichiatra prende la decisione di applicare su di lui questa nuova terapia inventata da un italiano nel ‘38, una macchina all’avanguardia che cura con l’elettricità.

Antonin Artaud muore nel 1948 seduto sul letto di casa sua proprio come aveva predetto.

Il testo che proponiamo è stato scritto nove anni prima del suo ricovero in manicomio e fa parte di un insieme di lettere redatte assieme a R. Desnos e T. Fraenkel, pubblicate sulla rivista Révolution Surréaliste, indirizzate al Papa, al Dalai Lama e ai Rettori delle Università Europee, in un'ottica di rivolta e di liberazione dai preconcetti della società. La prospettiva surrealista infatti valorizza la follia come forma di creatività rivoluzionaria, in grado di sfidare le convenzioni sociali e di comprendere la realtà esistente al di fuori della logica diffusa.

Il COLLETTIVO

Il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud viene fondato a Pisa nel 2005 in seguito all’incontro della tematica antiproibizionista e quella antipsichiatrica avvenuto nel 2000. Si propone fin dalla sua nascita di contrastare gli abusi della psichiatria (Trattamento sanitario obbligatorio , internamento coatto, ricovero involontario, ecc..), fornire informazioni sugli psicofarmaci al fine di contrastarne il dilagare e praticare una cultura antipsichiatrica.
Spinti dal bisogno di vivere le relazioni umane ed esistenziali senza il pregiudizio psichiatrico, immaginando che la malattia mentale non esiste, si costituisce il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud.
Sarà un caso che un collettivo antipsichiatrico, dal nome Antonin Artaud sia nato proprio a Pisa?
Pisa è meta dei viaggi della speranza per fruire delle cure psicofarmacologiche  messe a disposizione dalla scuola di psichiatria di matrice nord-americana, organicista e riduzionista, nonché capitale italiana dell’elettroshock, oggi ridefinito terapia elettroconvulsiva (TEC).

domenica 2 agosto 2015

Come gli organi di informazione hanno parlato dell’omicidio di Mauro Guerra

mauro guerraSono passate solo 48 ore dai fatti ma sulla morte di Mauro Guerra gli organi di informazione hanno fornito già svariate versioni dell’accaduto. Troppe volte in casi simili i giornalisti hanno preso per buona la versione fornita dalle Autorità senza prima recarsi sul posto e sentire i testimoni ottenendo come risultato quello di far assimilare la notizia all’opinione pubblica in maniera non sempre corretta. Ricordiamo tra tutti il caso di Federico Aldrovandi e i titoli dei giornali del giorno dopo i fatti in cui si diceva che Federico  si era accasciato davanti agli agenti per un malore. La verità emersa successivamente fu ben diversa come tutti sappiamo. Qui abbiamo raccolto e comparato gli articoli usciti in questi giorni sul caso Guerra
La chiamata e l’intervento dei carabinieri
Padova Oggi: “Secondo quanto si è appreso, sono stati gli stessi familiari della vittima a chiamare il 112 e il 118, segnalando che il parente era fortemente esagitato. Giunti sul posto, i medici e i carabinieri avrebbero cercato di convincere l’uomo a seguirli per andare in ospedale per le cure del caso. Guerra, con occhi “spiritati”, parlava con difficoltà e farneticava. Sembrava che fosse d’accordo ad andare in ospedale ma, giunto all’ambulanza, d’improvviso, si sarebbe divincolato, scaraventando a terra alcuni militari e fuggendo prima per le vie del paese, indossando solo mutande e calzini, quindi verso i campi.”
Il Messaggero: “I militari erano intervenuti dopo essere stati chiamati per una lite in famiglia, ma quando sono arrivati sul posto hanno trovato un energumeno di oltre 100 chili – Mauro Guerra, 32 anni – completamente fuori di sé. Hanno cercato di placarlo e di convincerlo a salire sull’ambulanza del 118, arrivata sul posto, ma quello si è dato alla fuga per i campi, inseguito da vicino da uno dei due carabinieri, mentre l’altro rimaneva a distanza.”
Il Mattino Padova: “Ieri verso mezzogiorno sono stati i familiari a segnalare il precario equilibrio umorale di Mauro Guerra. Quando la pattuglia del nucleo Radiomobile si è presentata davanti a casa, il trentatreenne è uscito in cortile nudo. Indossava solo le mutande. Sudava e parlava a sproposito. “
Il Mattino Padova (articolo del 31 luglio): “La visita in caserma di mercoledì mattina ha alzato il livello di attenzione da parte dei militari. Mauro Guerra, carabiniere in forza al Tuscania durante il servizio militare, ha consegnato loro un papello delirante in cui parlava di Dio e del diavolo, di Ezechiele e del destino del mondo. Sembrava fuori controllo e per questo, dopo qualche ora, due pattuglie si sono presentate nella sua abitazione di via Roma”.
Unione Sarda: “Secondo quanto si è appreso, sono stati gli stessi familiari della vittima a chiamare il 112 e il 118, segnalando che il parente era fortemente esagitato. Giunti sul posto, i medici e i carabinieri hanno cercato di convincere l’uomo a seguirli per andare in ospedale per le cure del caso. Guerra, alto 1,90 e 130 kg di peso, piuttosto muscoloso, aveva gli occhi ‘spiritatì, parlava con difficoltà e farneticava. Sembrava che fosse d’accordo ad andare in ospedale, ma giunto all’ambulanza, d’improvviso, si è divincolato, scaraventando a terra alcuni militari e fuggendo verso i campi.”
Popoff quotidiano: “Non c’è stata alcuna lite in famiglia, non si capisce chi abbia allertato i carabinieri e l’ambulanza e il modulo per il Tso non avrebbe in calce né la firma di un medico né le firme delle autorità del comune”.